Da La Riviera del 16 gennaio 2011
Prof. Teti, in ogni epoca i giovani hanno sempre sognato che
il mondo incominciasse con loro, ma oggi non è così. Non crede che anche la
libertà in una Calabria senza lavoro sia un valore “limitato”?

Per alcuni, stranamente anche calabresi, la questione meridionale
è fuori moda. Eppure, al nord, si rafforza un’ideologia antimeridionalista.
Cosa fare per dare voce ad un sud che, forse, manca ancora di una forte soggettività
meridionale?
E’ davvero paradossale: i gruppi dirigenti nazionali – con
la complicità di quelli locali – sono riusciti a cancellare la “questione
meridionale” (come era avvenuto durante il fascismo) e ad inventare una
“questione settentrionale”. La Lega genera razzismo antimeridionale e
antimmigrati e il Sud non riesce a fare sentire le proprie ragioni. Non bisogna
però cadere nelle trappole leghiste e dare voce ad un localismo subalterno, di segno
contrario. Ci sarebbe bisogno di una nuova classe politica ed intellettuale,
capace di riaffermare la soggettività

Lei stima molto Corrado Alvaro. Cosa direbbe, oggi, il Grande
Scrittore di fronte ad una ‘”Italia che rinuncia”, peggio e più di prima?
Corrado Alvaro è stato un Grande Calabrese, come Gioacchino
da Fiore, Telesio, Campanella. I suoi scritti ci fanno capire l’anima profonda
della Calabria. Il senso morale e di giustizia, che affiorano nelle sue pagine,
penso che lo porterebbero a un giudizio poco lusinghiero nei confronti del
nostro presente. La sua domanda
“L’Italia rinuncia” e anche “La Calabria rinuncia?” restano drammaticamente
attuali. Bisognerebbe rispondere, finalmente.
L’antropologia dei paesi calabresi è sempre
caratterizzata dal concetto di fuga. Tanto che lei, in un suo recente articolo, si è detto d’accordo con Pasquino Crupi “quando
individua nello spopolamento una possibile causa delle barbarie di questi
giorni”.
La fuga è un tratto antropologico (da interpretare in prospettiva
storica) delle popolazioni, come l’amico Pasquino Crupi ha scritto molti anni
addietro. Adesso siamo a un punto cruciale: il rischio abbandono- svuotamento dei
paesi, con tutte le conseguenze che tale infausto fenomeno comporta a livello
ecologico, culturale, sociale, identitario. Crupi conosce bene la vita e la storia
dei nostri paesi e del Sud e, a ragione, individua nello spopolamento una
possibile causa della barbarie che ci circonda. Siamo in un circolo vizioso: lo
spopolamento genera vuoto, solitudine, apatia, conflitti e questi “mali”
aumentano lo spopolamento. Bisogna invertire questa tendenza, spezzare questo
circolo nefasto. Con fantasia, con coraggio, con un grande progetto per le aree
interne, la montagna, il territorio. Tutelare e salvaguardare le bellezze
significa creare economia e rendere piacevole la vita di chi ha scelto di
restare e di chi intende tornare, sia pure per brevi periodi. Il problema è
che, mentre le mafie e i politicanti si collegano e fanno rete, in maniera
perversa, i giovani, le persone per bene, le tante forze sane, gli
intellettuali critici non riescono a collegarsi, a fare rete, a creare un
“movimento” di rinascita. Scontiamo ancora antichi isolamenti.
Il 13 dicembre scorso, l’Unical ha conferito la laurea
honoris causa in Filologia Moderna a Saverio Strati per i suoi meriti culturali.
In quell’occasione, lei ha tracciato con passione l’itinerario artistico dello
scrittore di S. Agata del Bianco. Perché stima cosi tanto Strati?
Strati è il più grande scrittore calabrese vivente.
Autore di romanzi che hanno saputo dare voce alla Calabria della povera gente,
dei paesi, e che ha colto e denunciato in anticipo il degrado e la devastazione
della nostra terra. La laurea honoris causa al grande narratore era un atto dovuto,
un riconoscimento non soltanto a lui, ma alla Calabria da lui narrata. Dobbiamo
essere grati a Strati per quello che ha scritto e per quello che continua a
trasmettere. Spero che sia valorizzato definitivamente e che venga letto,
davvero, nelle scuole e nelle Università.
Cosa può dire e, soprattutto, cosa può fare un
antropologo calabrese come lei, di fronte al triste scenario socio-culturale che attanaglia la nostra regione?
La risposta sarebbe lunga. Non come antropologo, ma come
abitante di questa parte di mondo e del Mondo, penso che ognuno di noi debba
continuare a fare bene il proprio lavoro, spendersi con passione nell’attività
che svolge. Penso che parlare di “etica”, di riguardo dei luoghi e delle
persone, di politica intesa come ricerca del bene comune, della Polis, è
l’imperativo di noi tutti.
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